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sabato 21 febbraio 2015

CASTELL'OVO


Il castel dell'Ovo (castrum Ovi, in latino), è il castello più antico della città di Napoli ed è uno degli elementi che spiccano maggiormente nel celebre panorama del golfo.

Si trova tra i quartieri di San Ferdinando e Chiaia, di fronte alla zona di Mergellina.

Il suo nome deriva da un'antica leggenda secondo la quale il poeta latino Virgilio - che nel medioevo era considerato anche un mago - nascose nelle segrete dell'edificio un uovo che mantenesse in piedi l'intera fortezza.

La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli.

Durante il XIV secolo, al tempo di Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo parziale dell'arco sul quale è poggiato e, per evitare che tra la popolazione si diffondesse il panico per le presunte future catastrofi che avrebbero colpito la città, la regina dovette giurare di aver sostituito l'uovo.

Il castello sorge sull'isolotto di tufo di Megaride (greco: Megaris), propaggine naturale del monte Echia, che era unito alla terraferma da un sottile istmo di roccia.

Questo è il luogo dove venne fondata Partenope nell'VIII secolo a.C., per mano cumana.

Durante il VI secolo a.C., nel sottostante pianoro sorse la nuova zona residenziale ("Neapolis").

La parte più antica della città fu chiamata "Palepolis" (città vecchia) e cadde in disuso nel IV-III secolo a.C.

Nel I secolo a.C. Lucio Licinio Lucullo acquisì nella zona un fondo assai vasto (che secondo alcune ipotesi andava da Pizzofalcone fino a Pozzuoli) e sull'isola costruì una splendida villa, Villa di Licinio Lucullo, che era dotata di una ricchissima biblioteca, di allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia, che per l'epoca erano una novità assieme ai ciliegi che il generale aveva fatto arrivare da Cerasunto.

La memoria di questa proprietà perdurò nel nome di Castrum Lucullanum che il sito mantenne fino all'età tardoromana.

In tempi più oscuri per l'Impero - metà del V secolo - la villa venne fortificata da Valentiniano III e le toccò la sorte di ospitare il deposto ultimo Imperatore di Roma, Romolo Augusto, nel 476.

Successivamente la morte di Romolo Augusto, sull'isolotto di Megaride e su monte Echia, già alla fine del V secolo, si insediarono monaci basiliani chiamati dalla Pannonia da una matrona Barbara con le reliquie dell'abate Severino.

Allocati inizialmente in celle sparse (dette "romitori basiliani"), i monaci adottarono nel VII secolo la regola benedettina e crearono un importante scriptorium (avendo probabilmente a disposizione anche quanto restava della biblioteca luculliana).

Il complesso conventuale venne però raso al suolo all'inizio del X secolo dai duchi di Napoli, per evitare che vi si fortificassero i Saraceni usandolo come base per l'invasione della città, mentre i monaci si ritiravano a Pizzofalcone.

Nell'872, sull'isolotto al tempo denominato di San Salvatore i Saraceni imprigionano il vescovo Atanasio di Napoli, ma lo sforzo congiunto delle flotte del Ducato di Napoli e della Repubblica di Amalfi permette di liberare il vescovo e scacciare i musulmani.

In un documento del 1128 nel sito viene nuovamente citata una fortificazione, denominata Arx Sancti Salvatoris dalla chiesa di San Pietro che vi avevano costruito i monaci.

Testimone dell'insediamento dei monaci basiliani è proprio quanto resta di questo luogo di culto, fondato dagli stessi monaci e le cui prime notizie risalgono al 1324. L'unico elemento architettonico di rilievo rimasto è l'ingresso preceduto dai grandi archi del loggiato.

Ruggiero il Normanno, conquistando Napoli nel 1140, fece di castel dell'Ovo la propria sede.

L'uso abitativo del castello tuttavia veniva sfruttato solo in poche occasioni dato che, con il completamento del Castel Capuano, furono spostate lì tutte le direttrici di sviluppo e di commercio verso terra.

Con i Normanni, iniziò un programma di fortificazione sistematica del sito, che ebbe nella torre Normandia il suo primo baluardo, ed era quella su cui sventolavano le bandiere.

Con il passaggio del regno agli Svevi attraverso Costanza d'Altavilla, castel dell'Ovo viene ulteriormente fortificato nel 1222 da Federico II, che ne fa la sede del tesoro reale e fa costruire altre torri - torre di Colleville, torre Maestra e torre di Mezzo. In quegli anni, il castello divenne reggia e prigione di stato.

Il re Carlo I d'Angiò spostò a Castel Nuovo (Maschio Angioino) la corte.

Mantenne tuttavia a castel dell'Ovo - che proprio in questo periodo comincia ad essere denominato chateau de l'Oeuf o castrum Ovi incantati - i beni da custodire nel luogo meglio fortificato: ne fece quindi la residenza della famiglia, apportandovi allo scopo numerosi restauri e modifiche, e vi mantenne il tesoro reale.

In questo periodo, in quanto prigione di stato, nel castello vi fu rinchiuso Corradino di Svevia prima di essere decapitato nella piazza del Mercato, e i figli di Manfredi e della regina Elena Ducas.

Dopo un evento sismico che nel 1370 aveva fatto crollare l'arco naturale che costituiva l'istmo, la regina Giovanna lo fece ricostruire in muratura, restaurando anche gli edifici normanni. Dopo avere abitato il castello come sovrana, la regina qui venne imprigionata dall’infedele nipote Carlo di Durazzo, prima di finire in esilio a Muro Lucano.

Alfonso V d'Aragona, iniziatore della dominazione aragonese a Napoli (1442 – 1503), apportò al castello ulteriori ristrutturazioni, arricchendo il palazzo reale, ripristinando il molo, potenziando le strutture difensive e abbassando le torri.

Successogli al trono il figlio Ferrante I, ricevuti saccheggiamenti dalle milizie francesi, egli per riappropriarsi del castello dovette bombardarlo con l’artiglieria.

Il castello fu ulteriormente danneggiato dai francesi di Luigi XII e dagli spagnoli di Consalvo de Cordova, che spodestarono per conto di Ferdinando II di Aragona, re di Spagna, l’ultimo re aragonese di Napoli.

Nel 1503 l'assedio di Ferdinando il Cattolico demolì definitivamente quanto restava delle torri.

Il castello fu allora nuovamente e massicciamente ristrutturato, assumendo la forma che oggi vediamo.

Mutati i sistemi di armamento - dalle armi da lancio e da getto alle bombarde - furono ricostruite le torri ottagonali, ispessite le mura, e le strutture difensive furono orientate verso terra, e non più verso il mare. Sconfitti i francesi per due volte, a Cerignola e sul Garigliano, avvenne la completa conquista dell'intero Regno di Napoli in favore della Spagna.

Durante il regno dei Viceré spagnoli e successivamente dei Borbone il castello fu fortificato ancor più con batterie e due ponti levatoi.

La struttura perse completamente la funzione di residenza reale e dal XVIII secolo anche il titolo di "fabbrica reale", e venne adibito ad accantonamento ed avamposto militare - dal quale gli spagnoli bombardarono la città durante i moti di Masaniello - e a prigione, dove fu recluso fra gli altri il filosofo Tommaso Campanella prima di essere condannato a morte, e più tardi alcuni giacobini, carbonari e liberali fra cui Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Francesco de Sanctis.

Durante il periodo del cosiddetto "Risanamento", che cambiò il volto di Napoli dopo l'Unità d'Italia, un progetto elaborato dall'Associazione degli scienziati letterati e artisti nel 1871 prevedeva l'abbattimento del castello per far posto ad un nuovo rione.

Tuttavia quel progetto non fu attuato e l'edificio rimase in possesso del demanio e praticamente in stato di abbandono, fino all'inizio dei restauri nel 1975.

Il Castel dell'Ovo, oggi sede della Direzione Regione per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania, è stata oggetto, nel tempo, di molteplici trasformazioni, le cui tracce sono ancora oggi evidenti.

Unito al Castello dalla parte del mare, il Ramaglietto fu costruito sopra l’antico “ciglio del sole”, dove un tempo esistevano dei mulini a vento.Il viceré Francesco Bonavides conte di Santo Stefano, alla fine del Seicento, ne ordinò la costruzione per difendere il castello dalle flotte nemiche.

Realizzato a più riprese tra il 1691 e il 1693, il fortino era in grado di contenere sino a sessanta pezzi di artiglieria, grazie alla sua notevole estensione verso il mare.

Dal Ramaglietto, attraverso un camminamento che fiancheggia il castello, si giunge all’arco naturale che in passato, aperto sul mare, identificava l’immagine dell’isolotto.

L’arco, crollato durante il regno di Giovanna D’Angiò, fu ricostruito in muratura. La sua ampiezza è oggi leggibile all’interno della Sala Italia.L’unica strada interna attraversa una delle torri ancora visibili, quella di Normandia, costruita per volere di Guglielmo il Malo a difesa del punto più vulnerabile dell’isolotto verso il mare.

La torre, su cui venivano issate le bandiere, poggia su archi in piperno e conserva tracce della merlatura guelfa, inglobata in un rialzamento successivo. Superata la torre, si accede ad uno dei due edifici sacri dell’isolotto, la Chiesa del Salvatore, la cui parte rimasta integra oggi ha un accesso laterale.

La struttura poggia su alte colonne in granito e capitelli di spoglio, di provenienza romana.

All’interno si conservano resti di affreschi tardo bizantini. Della Chiesa di San Pietro, non resta alcuna traccia visibile, ma la presenza di luoghi di culto riporta alla memoria la destinazione religiosa dell’isolotto.

Del complesso monastico abitato da monaci basiliani prima e da suore dell’ordine di Santa Patrizia poi, restano i ‘romitori’, celle scavate nella roccia tufacea. Uniti da un fitto percorso di cunicoli, sono stati riportati alla luce, nella loro interezza, agli inizi del Novecento.

Alcune celle sono semplici cavità scavate nel tufo, altre hanno pareti in muratura e soffitto a volta, probabilmente utilizzate come altari.In alcuni ambienti ci sono tracce di affreschi rudimentali, realizzati su un intonaco più accurato, oggi, quasi illeggibili.

La cella maggiormente decorata è quella di Santa Patrizia. Tra le più suggestive del Castello, la Sala delle Colonne deve il suo nome alle numerose colonne di spoglio riutilizzate nella struttura, poggiante su archi a sesto acuto.

I rocchi, con scanalature a spigolo vivo, sono chiaramente leggibili come parte di colonne di dimensioni maggiori e spiccano nel loro candore marmoreo in contrasto con il giallo del tufo.

Divisa in navate, la sala appare come la struttura di una chiesa, ma con molta probabilità era utilizzata per refettorio dei monaci.

I materiali di spoglio, variamente riutilizzati nelle differenti strutture del castello, richiamano alla mente la magnifica villa, edificata nel I secolo a.C. dal Console romano Lucio Licinio Lucullo.

In prossimità del bastione d’ingresso vi è un ampio locale ricavato nel tufo, che nel corso dei secoli ha assunto il nome di “Carcere della Regina Giovanna”.

L’ambiente, oggi noto come Sala delle Prigioni, si compone di un ampio vano centrale, dal quale si irradiano corridoi che conducono alle finestre aperte sui fronti est e ovest del Castello.Per l’ampiezza del locale e per la forma, è ipotizzabile l’origine come fortificazione del castello.

Successivamente, sotto la dominazione normanna, la Sala delle Prigioni venne impiegata per la custodia dei tesori e dei documenti, tra cui l’archivio segreto dello Stato.

Presso il Castel dell'Ovo vi è anche la sede dell'Istituto Italiano dei Castelli, sezione Campania.

La sede viene aperta solo dietro appuntamento. E' possibile visitare una mostra fotografica permanente sull'architettura fortificata della Campania.

Fonte : Wikipedia, http://www.icastelli.it/ con scheda compilata dal Dott. Andrea Orlando

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